I tre referendum del 21 e 22 giugno si sono conclusi come nelle aspettative: l'affluenza è stata bassissima, con poco più del 23%, e il quorum non è stato raggiunto.
Si può quindi dire che i tre quesiti non hanno molto entusiasmato gli elettori: solo per i terzo, quello concernente all'abolizione delle candidature multiple, si è vista una affluenza leggermente superiore, ma si parla di poche migliaia di voti.
La legge elettorale voluta nel 2005 dall'allora ministro Calderoli rimane, quindi, ancora in vigore.
Il Comitato per il Si ha subito dichiarato, con Mario Segni e Giovanni Guzzetta, la loro amarezza per l'esito del voto, ma ha anche aggiunto che in un referendum non ci possono essere nè vincitori nè sconfitti, perchè non è un test politico dipendente dalle direttive dei partiti, ma solo un esempio di libera espressione popolare.
Di altro avviso sono invece la Lega Nord e l'UDC che rivendicano come una vittoria il mancato quorum al referendum e lo definiscono figlio della loro politica tra la gente e della volontà da parte del popolo di non accettare il bipartitismo.
L'IDV plaude al voto degli italiani ma si aspetta che adesso il Parlamento riformi la legge elettorale e, secondo Di Pietro, lo può fare, vista la forte maggioranza in aula del governo Berlusconi.
Il PD e PDL, i due grandi partiti, non si dichiarano nè vinti nè vincitori, ma affermano di rispettare profondamente l'esito di queste elezioni.
E proprio i loro esponenti di partito cominciano a parlare di riforma del Comitato Referendario che, a loro parere, dovrebbe raccogliere più firme per sottoporre una legge alla consultazione popolare. Inoltre è stata avanzata anche l'idea di eliminare il quorum, ritenuto ormai insostenibile, visto che l'affluenza alle urne dal dopoguerra a oggi si è abbassata del 60-70%.
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