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mercoledì 6 maggio 2009

L'editoriale: l'occidente e la paura di morire

Un tratto fondamentale che contraddistingue la cultura occidentale è la paura di morire. Ciò non significa che nel resto del mondo questo non accada, ma solo che in occidente la visione sul fine vita è più inquieta. Prendiamo ad esempio quelle filosofie di vita che si fondono anche con la religione ( misticismo, induismo,brahamanesimo). Queste diffondono un ideale di morte molto naturale, descrivendo questo evento come inevitabile e pertanto da accettare pacatamente, senza dannarsi alla ricerca di un elisir di lunga vita. Ciò non significa che sono pessimisti ma solo che hanno accettato meglio la loro ( e nostra ) condizione di finitezza.
In Occidente, invece, la morte è sempre stato un grande spauracchio che cerchiamo ancora oggi di esorcizzare ( ad esempio, toccando ferro ). Il primo, che nella storia occidentale, ha cercato di annullare il nostro stato di dolore e paura della morte, è stato il filosofo greco Parmenide. Lui disse una cosa molto semplice e tuttavia anche inutile:" Poichè il dolore è non-essere, esso non esiste". Basava il tutto sulla sua filosofia che prevedeva essere e non essere e in tal modo cercava di sfuggire vanamente al male.
Ma , sebbene il suo tentativo fu futile, dette il via alla ricerca di metodi per sconfiggere morte e dolore.
Al giorno d'oggi, questi sono tre e molto conosciuti: la religione, che ci vuole dare la sicurezza che la morte è solo un passaggio ulteriore nella vita e non la sua fine, la filosofia, che cerca attraverso il pensiero razionale nuove dottrine per eliminare questo problema, e la scienza, che ricerca i metodi fisici e chimici per allontanare la morte, prolungando la vita. Questo perchè l'uomo non vuole rassegnrsi ad avere un'esistenza limitata come qualsiasi animale, difatto non riconoscendosi tale.

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